Il più antico retaggio novecentesco ancora presente nella politica italiana, la falce e il martello, è scomparso da ieri. Era anche il più famoso e probabilmente il più amato, il che gli ha consentito di sopravvivere ben oltre ogni ragionevolezza storica. Gli ex comunisti affidano il loro racconto non più ad un simbolo ma a una parola: Sinistra. Lo stesso avviene all’altro capo dello schieramento politico, dove sotto il nome di Destra si è riunito il gruppo di Storace, e nel non-luogo occupato una volta dalla Dc, dove correranno i centristi di Casini, soli o associati con Mastella o Tabacci.
La novità è che destra, sinistra, centro, cioè le tre definizioni che storicamente hanno fotografato le identità politiche del Paese, per la prima volta non hanno alcuna prospettiva di governare l’Italia, anzi si candideranno in posizioni così minoritarie da esporsi al rischio di non ottenere rappresentanza parlamentare. Il cambiamento è epocale. Con il voto del 13 aprile l’Italia cancellerà d’un colpo la topografia politica disegnata il 18 aprile 1948, con la sua suddivisione rigida e spesso forzata rispetto alla realtà che pretendeva di rappresentare. La destra, la nostra destra politica, quella proveniente in gran parte dal Msi per esempio, entrò in questo schema, non senza disagio e contestazioni interne, solo nel 1972, aggiungendo alla sua sigla l’indicazione Destra nazionale ventisei anni dopo la fondazione. Nel 1995, a Fiuggi, la parola “destra” scomparì: i fondatori di An la ritennero giustamente un limite per un partito che ambiva a parlare a tutta la società italiana e che non voleva porre confini identitari alla sua proposta, anzi, nella fusione di tradizioni diverse cercava la chiave per interpretare la modernità.
In molti si sono meravigliati della rapidità con cui An ha colto il treno del Popolo delle libertà, magari senza avere presente questo dato: l’aspirazione a essere forza maggioritaria, interlocutrice diretta della metà del Paese che da quindici anni vota per la Casa delle libertà, non è cosa di oggi, non è un evento determinato dagli accidenti del Pd veltroniano o dall’occasione della legge elettorale, ma un filo rosso che attraversa tutta la storia, all’interno della quale gli anni trascorsi all’ombra del termine “destra” rappresentano una fase, e forse non la più importante. E’ un elemento di riflessione che dovremmo tutti approfondire in questa fase pre-elettorale, ma soprattutto dopo, quando il percorso verso una compiuta realizzazione del Pdl diventerà concerto. In molti all’interno di Alleanza Nazionale, temono questa stagione, densa di insicurezze come tutti i passaggi politici di grande cambiamento. Chi vive quotidianamente la vita delle federazioni e dei circoli, chi sa bene cosa significa lavorare alla base, di giorno discutendo e la sera attaccando i manifesti, con amicizia, passione, comunità di valori, ha paura di veder tutto ciò cancellato e stravolto. Timore comprensibile. Ma riflettendo al di là delle emozioni, il Popolo delle libertà siamo noi, già da oggi. E se a livello nazionale è Silvio Berlusconi a rappresentarlo, nelle mille città italiane saranno i nostri convegni, i nostri militanti, le nostre sedi a raccontarlo e raffigurarlo sul territorio, dove nell’ambito dell’alleanza siamo senza dubbio i più attivi, i più presenti, i più politicamente attrezzati. Nella nuova geopolitica del Paese, senza più destra, sinistra e centro, fare politica recupererà il suo significato etimologico: trasformare le idee in azioni. E’ la nostra Mission da un secolo, dovremmo accettare volentieri la scommessa.
La novità è che destra, sinistra, centro, cioè le tre definizioni che storicamente hanno fotografato le identità politiche del Paese, per la prima volta non hanno alcuna prospettiva di governare l’Italia, anzi si candideranno in posizioni così minoritarie da esporsi al rischio di non ottenere rappresentanza parlamentare. Il cambiamento è epocale. Con il voto del 13 aprile l’Italia cancellerà d’un colpo la topografia politica disegnata il 18 aprile 1948, con la sua suddivisione rigida e spesso forzata rispetto alla realtà che pretendeva di rappresentare. La destra, la nostra destra politica, quella proveniente in gran parte dal Msi per esempio, entrò in questo schema, non senza disagio e contestazioni interne, solo nel 1972, aggiungendo alla sua sigla l’indicazione Destra nazionale ventisei anni dopo la fondazione. Nel 1995, a Fiuggi, la parola “destra” scomparì: i fondatori di An la ritennero giustamente un limite per un partito che ambiva a parlare a tutta la società italiana e che non voleva porre confini identitari alla sua proposta, anzi, nella fusione di tradizioni diverse cercava la chiave per interpretare la modernità.
In molti si sono meravigliati della rapidità con cui An ha colto il treno del Popolo delle libertà, magari senza avere presente questo dato: l’aspirazione a essere forza maggioritaria, interlocutrice diretta della metà del Paese che da quindici anni vota per la Casa delle libertà, non è cosa di oggi, non è un evento determinato dagli accidenti del Pd veltroniano o dall’occasione della legge elettorale, ma un filo rosso che attraversa tutta la storia, all’interno della quale gli anni trascorsi all’ombra del termine “destra” rappresentano una fase, e forse non la più importante. E’ un elemento di riflessione che dovremmo tutti approfondire in questa fase pre-elettorale, ma soprattutto dopo, quando il percorso verso una compiuta realizzazione del Pdl diventerà concerto. In molti all’interno di Alleanza Nazionale, temono questa stagione, densa di insicurezze come tutti i passaggi politici di grande cambiamento. Chi vive quotidianamente la vita delle federazioni e dei circoli, chi sa bene cosa significa lavorare alla base, di giorno discutendo e la sera attaccando i manifesti, con amicizia, passione, comunità di valori, ha paura di veder tutto ciò cancellato e stravolto. Timore comprensibile. Ma riflettendo al di là delle emozioni, il Popolo delle libertà siamo noi, già da oggi. E se a livello nazionale è Silvio Berlusconi a rappresentarlo, nelle mille città italiane saranno i nostri convegni, i nostri militanti, le nostre sedi a raccontarlo e raffigurarlo sul territorio, dove nell’ambito dell’alleanza siamo senza dubbio i più attivi, i più presenti, i più politicamente attrezzati. Nella nuova geopolitica del Paese, senza più destra, sinistra e centro, fare politica recupererà il suo significato etimologico: trasformare le idee in azioni. E’ la nostra Mission da un secolo, dovremmo accettare volentieri la scommessa.








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